Quando osserviamo le stelle del cielo, pensiamo ai miliardi e miliardi di altri esseri viventi che abitano lassù nello spazio cosmico, in milioni di pianeti più o meno simili alla nostra amata Terra. Perché non è più fantascienza. Non è più una bestemmia. Non è più un peccato.
Novità giungono dall’ESO e dal 219° meeting dell’American Astronomical Society di Austin in Texas (Usa, 9-12 gennaio 2012). Gli scienziati hanno usato stavolta la tecnica di “caccia” delle “microlenti gravitazionali”(tanto care ad Einstein) per misurare quanto siano diffusi i pianeti alieni nella nostra Galassia, la Via lattea. Dopo una ricerca durata sei anni in cui hanno valutato milioni di stelle, l’equipe ha concluso che trovare un pianeta intorno ad un astro è la regola e non l’eccezione. I risultati sono pubblicati dalla rivista Nature del 12 gennaio 2012. Negli ultimi 16 anni, gli astronomi hanno confermato la scoperta di più di 700 esopianeti (la missione Keplero della Nasa sta scoprendo un enorme numero di esopianeti candidati, non inclusi in questa classifica ma nell’altra consultabile sul sito http://planetquest.jpl.nasa.gov/, che contempla oltre 3035 esomondi finora rilevati) e hanno iniziato ad analizzarne lo spettro e l’atmosfera. Senza peraltro includere le loro lune, anche di taglia terrestre come Pandora, oggi impossibili da rilevare, che, secondo gli scienziati, sono molto frequenti poiché “la presenza di un grosso satellite in orbita attorno a un pianeta di taglia terrestre garantisce stabilità climatica per periodi lunghissimi, una condizione essenziale allo sviluppo della vita”. Anche se studiare le proprietà di questi singoli esopianeti è innegabilmente importante, una delle domande fondamentali è: quanto sono comuni i pianeti nella Via Lattea? La maggior parte degli esopianeti noti, è stata trovata osservando l’effetto dell’attrazione gravitazionale esercitata dalla loro massa sulla stella madre o catturando il passaggio di questi esomondi davanti all’astro, che ne affievolisce un po’ lo splendore. Entrambe le tecniche sono più sensibili ai pianeti massicci e/o vicini alla stella. Tuttavia molti pianeti alieni vengono persi nelle analisi preliminari.
L’equipe internazionale di astronomi ha cercato gli esopianeti con una tecnica completamente diversa, quella delle microlenti gravitazionali, che può scoprire mondi extraterrestri su un ampio intervallo di masse e soprattutto esopianeti che orbitano lontani dalla stella. Magari ai confini più esterni della fascia verde abitabile. Lo scorso dicembre 2011, per la prima volta in assoluto, è stata elaborata una sorta di “tavola periodica” degli esopianeti alieni finora scoperti, che propone una classificazione scientifica sui generis, seppur parziale, destinata a far scuola. “Abbiamo cercato per sei anni le prove della presenza di esopianeti con osservazioni di microlenti – spiega Arnadu Cassan dell’Institut d’Astrophysique di Parigi – e questi dati mostrano sorprendentemente che i pianeti sono più comuni delle stelle nella nostra galassia. Abbiamo trovato anche che i pianeti più leggeri, come le super-Terre, o i Nettuni freddi, devono essere più frequenti di quelli più pesanti”.
Gli scienziati sono consapevoli del fatto che le microlenti siano uno strumento molto potente, in grado di rivelare esopianeti che non potranno mai essere trovati in altri modi. È necessario, però, che la stella di fondo e la stella-lente siano casualmente allineate perché si verifichi un evento di microlente. Per individuare il pianeta durante l’evento è necessario inoltre anche l’allineamento dell’orbita dell’esomondo. Anche se trovare un pianeta per mezzo dell’effetto di microlente non è per nulla semplice, nei sei anni di dati acquisiti dalle analisi, sono stati rivelati tre esopianeti: una super-Terra (con una massa compresa tra due e dieci volte quella della Terra: finora è stata pubblicata la scoperta di soli 12 pianeti alieni osservati usando diverse strategie osservative che sfruttano l’effetto di microlente) e due pianeti di massa confrontabile con Nettuno e Giove. Sembra un risultato deludente ma per quanto riguarda gli standard delle microlenti questo è un “goal” davvero impressionante. La scoperta dei primi tre esopianeti “gravitazionali” dimostra agli astronomi quanto siano stati fortunati ad aver fatto centro nonostante le apparenti scarse probabilità.
È stato scoperto che una ogni sei stelle studiate ospita un pianeta di massa simile a quella di Giove, la metà ha un pianeta di massa pari a Nettuno e due terzi ospitano super-Terre. La ricerca era sensibile a pianeti che si trovano tra i 75 milioni e 1,5 miliardi di chilometri dalla stella (nel Sistema Solare questo corrisponde a tutti i pianeti tra Venere e Saturno, compresa la “fascia verde abitabile” occupata dalla Terra) e con masse che vanno da 5 volte la Terra fino a dieci volte Giove. Gli scienziati combinando questi risultati sono giunti alla conclusione che il numero medio di pianeti intorno ad una stella sia maggiore di uno: i mondi alieni sono la regola piuttosto che l’eccezione. “Pensavamo che la Terra fosse unica nella nostra galassia – fa notare Daniel Kubas, co-autore dell’articolo – ma ora sembra che ci siano letteralmente miliardi di pianeti di massa simile a quella della Terra in orbita intorno a stelle della Via Lattea”. La pluralità dei mondi alieni è la regola universale. Secondo gli scienziati, dovremo farci l’abitudine. I pianeti come la Terra possono esistere anche all’interno di sistemi stellari binari, ossia composti da una coppia di stelle più o meno simili al nostro Sole. Il telescopio spaziale Keplero della Nasa ha già scoperto un esopianeta in un sistema binario stabile, lo scorso settembre 2011. Si tratta di Kepler-16b. Tuttavia è un mondo del tutto inospitale, un gigante gassoso come Giove.
Gli astrofisici pensano che la vita sia possibile su questi mondi purché siano alla giusta distanza dalle loro stelle. Nella zona verde abitabile, una regione non troppo calda o fredda, in grado di sostenere sulla loro superficie la presenza di acqua allo stato liquido, elemento essenziale per la vita così come oggi la intendiamo. Se così fosse, il numero di pianeti simili alla Terra salirebbe vertiginosamente. D’ora in avanti la fantascienza e l’immaginazione cederanno il passo alla scienza. La fascia abitabile del sistema Kepler-16, è collocata per lo più a ridosso della stella primaria e si estende in una regione orbitale compresa tra 0.36 e 0.71 volte la distanza della Terra dal Sole. Nel nostro Sistema Solare la fascia abitabile corrisponde a una zona compresa all’incirca tra Venere e Marte. Le possibilità per i ricercatori sono virtualmente infinite, con gli strumenti e i sensori giusti. È stata proposta la missione FINESSE (Fast Infrared Exoplanet Spectroscopy Survey Explorer) della Nasa, per studiare nello spazio le atmosfere aliene dei pianeti finora scoperti, alla ricerca dei gas rivelatori della vita (intelligente).
Si può cominciare ad esplorare mondi di taglia terrestre che orbitano in sistemi binari, magari in regioni un po’ al là della zona abitabile della stella primaria del sistema, che per la Terra corrisponde a una distanza doppia rispetto al nostro Sole. Per ospitare la vita, il pianeta dovrebbe godere di un ottimo effetto serra in grado di trattenere il calore stellare, magari grazie al monossido di carbonio o al metano intrappolati dalla sua spessa atmosfera. In queste condizioni gli scienziati possono anche estendere la fascia verde abitabile. Ma che tipo di vita potremo scoprire su questi mondi alieni di taglia terrestre? Forse un’antica civiltà estinta, i dinosauri o una razza in grado di (r)esistere a quelle condizioni che sulla Terra potrebbero essere semplicemente proibitive per la nostra stessa esistenza.
Oggi gli scienziati possono utilizzare analisi matematiche talmente avanzate, in grado di applicare sofisticati algoritmi a tutte le immagini astrofisiche acquisite dalla grande varietà di osservatori astronomici terrestri e spaziali operativi. Gli archivi dell’Hubble Space Telescope non andranno certo in pensione e potranno giocare un ruolo decisivo per affilare le nuove tecniche di caccia ai mondi alieni.
Osservare un nuovo pianeta in vecchie immagini, è un messaggio molto importante. Ora che sappiamo cosa osservare a tutte le lunghezze d’onda, non ci sfuggiranno.