44 anni fa, Jocelyn Bell nota uno strano segnale extraterrestre dal radiotelescopio di Cambridge. Lo chiama “omino verde”, ma gli alieni non c’entrano. Era la scoperta delle pulsar
Era il 28 novembre 1967, Jocelyn Bell era seduta davanti ai suoi chilometri di carta da ore, osservando quello strano picco di energia alla lunghezza d’onda di 3,7 metri disegnato sui grafici. Si ripeteva esattamente ogni 1,3373011 secondi. Sempre uguale a se stesso. Niente di quello che gli astronomi conoscevano allora poteva esserne la fonte. Estremamente regolare, della durata di 0,3 secondi, chiaramente distinguibile dal rumore di fondo.
Sembrava quanto meno strano che a produrlo fosse un qualche oggetto celeste. In sordina, la speranza di aver captato un segnale inviato da un’ intelligenza extraterrestre si fece largo tra le nozioni di fisica e di ingegneria. Non che lei e il suo professore – il radioastronomo Antony Hewish – credessero a questa ipotesi tanto da metterci la faccia, ma abbastanza da chiamare il segnale Lgm: little green men.
Non era un messaggio alieno, si vide in seguito. Ma la delusione fu passeggera, visto che la scoperta della vera sorgente – una pulsar – valse un premio Nobel (ma non a Jocelyn…).
Irlandese di nascita, si era da poco laureata all’Università di Cambridge e aveva costruito, insieme al suo professore, un nuovo radiotelescopio – il Mullard Radio Astronomy Observatory – per captare la scintillazione (cioè la variazione di luminosità) delle stelle, in particolare dei quasar. Lo strumento – un ettaro e mezzo disseminato di tante piccole antenne – era entrato in funzione nell’estate del 1967, e aveva cominciato a scansionare il cielo nello spettro delle onde radio, producendo qualcosa come 30 metri di dati al giorno.
Poi, quel 28 novembre, ecco comparire lo strano segnale: un forte impulso di energia radio che si ripeteva a intervalli regolari, sincronizzato con il tempo siderale. Escluse le trasmissioni di radioamatori e polizia, non c’erano molte spiegazioni possibili se non una fonte extraterrestre.
Jocelyn ed Hewish decisero di aspettare a comunicare la notizia, finché, poco dopo, lei trovò un altro segnale. Questo pulsava a intervalli di 1,2 secondi e proveniva da un altro punto del cielo. Diventava abbastanza improbabile che si trattasse di due popolazioni di omini verdi.
Quando la notizia fu divulgata, i due non avevano ancora capito quale fosse la fonte dei segnali radio. Il loro rompicapo solleticò da subito le menti di astrofisici. Poco dopo (siamo nel 1968), la maggior parte degli scienziati votava per le stelle di neutroni.
L’esistenza di queste stelle si fonda su una teoria degli anni Trenta di Robert Oppenheimer e Fritz Zwicky. Secondo i due fisici, quando una stella massiva muore può collassare su se stessa e diventare un corpo incredibilmente denso, costituito di neutroni, che ruota ad alta velocità. Il campo elettromagnetico è molto intenso, e vi è un’emissione di onde radio (ma non solo) dai due poli. Per questo il loro segnale è percepito a intermittenza, come fosse la luce di un faro. Da qui il nome pulsar: da pulsating e star.
Crediti: Wired Foto: NASA/Goddard Space Flight Center)