L'invenzione del primo sismografo viene spesso attribuita al cinese Zhang Heng ed è datata 132 d.C. Il suo apparecchio aveva una struttura estremamente ingegnosa ed elegante: all'interno di un'anfora, stava un pendolo che, se messo in oscillazione da una scossa sismica, urtava alcune levette.
Tali levette erano otto, disposte tutte intorno all'anfora, ed ognuna di esse era collegata alla riproduzione di un piccolo drago; se urtata, ne apriva la bocca, facendo cadere la pallina contenutavi in un recipiente sottostante. La pallina, cadendo, faceva un rumore metallico, che fungeva da allarme.Tuttavia, è discutibile se questo apparecchio possa essere veramente considerato un sismografo, dato che la capacità di registrazione delle scosse è quasi assente (controllando quale drago avesse aperto la bocca, si poteva intuire la direzione della scossa, ma non l'intensità, la durata e altre caratteristiche), e quindi sarebbe forse più giusto considerarlo al limite un sismoscopio.
Storia dei sismografi
Il sismografo è lo strumento che viene utilizzato per registrare i fenomeni sismici. Si distingue dal sismometro, strumento che effettua la sola misura e non la registrazione della stessa.
Il sismografo è costituito da una serie di elementi che consentono la rappresentazione grafica dell'andamento del segnale sismometrico nel tempo sotto forma di un sismogramma. Analizzando il sismogramma si può conoscere l'entità, la natura (con una singola stazione solo in modo parziale), e la distanza del sisma dal punto dove è avvenuta la registrazione del sismogramma stesso. Il sismografo deve dunque rappresentare fedelmente il movimento del suolo oppure le grandezze (accelerazione o velocità) con le quali si può in seguito estrapolare il movimento assoluto del suolo.
I sismografi dell'età moderna
Nel 1703 Jean de Hautefeuille costruisce un sismografo a mercurio.
In Italia, la tradizione ha sempre attribuito l'invenzione e la creazione del primo sismografo al padre benedettino don Andrea Bina. Il suo apparecchio costruito a Perugia verso la metà del Settecento, nell'ambito dei suoi studi sui terremoti, consisteva in una lunga fune appesa al soffitto di una stanza e con attaccato, all'altra estremità, un pesante masso. Tale masso aveva uno stilo nella parte inferiore, la cui punta sprofondava nella sabbia contenuta in una vaschetta, che a sua volta galleggiava in un ampio vaso pieno d'acqua. In occasione dei terremoti, il pendolo lasciava nella sabbia delle tracce da cui, come scrisse Bina stesso,
... si potrà conoscere la qualità e l'impeto delle scosse. Se il terremoto sarà stato regolare, o di ondeggiamento, rettilinei saranno li solchi, se tremulo ed irregolare saranno tortuosi; se sarà stato vorticoso...si conoscerà ciò dalla profondità a cui lo stilo sarà penetrato entro la materia molle...
I sismografi a pendolo a filo sono stati poi con il tempo sostituiti da sistemi costituiti da pendoli orizzontali, sostenuti da molle, con cui è possibile costruire strumenti di dimensioni ridotte ed elevata sensibilità.
La registrazione del movimento avveniva con sistemi meccanici composti da una trasmissione, più o meno complessa, che terminava con un pennino che registrava i movimenti su un nastro di carta mosso da un meccanismo a orologeria. Si è passati successivamente a sistemi elettromagnetici nei quali il sensore era costituito da una bobina resa solidale al pendolo e immersa nel campo di un magnete permanente mentre la registrazione veniva effettuata con un registratore a carta galvanometrico. L'inventore del sismografo elettromagnetico fu Luigi Palmieri, direttore dell'Osservatorio Vesuviano e docente all' Università di Napoli.
Attualmente i sismografi elettromagnetici si sono evoluti col l'applicazione dei computer che permettono di registrare i dati in forma digitale con dinamiche estremamente elevate e di applicare ai segnali rilevati filtraggi che permettono di eliminare le interferenze dovute ai fenomeni locali (traffico e altre attività dell'uomo) o alle caratteristiche del sistema di rilevamento (risonanza del pendolo).
La principale stazione di rilevamento dei sismi in Italia è situata nell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, (INGV) dove arrivano le rilevazioni di tutte le principali stazioni d'Italia. Esso nasce intorno al 1999 e subito assume una notevole importanza a livello europeo.
Componenti
Alimentazione = Sistema variabile per la fornitura di energia.
Sensore o sismometro = Strumento per la misura della quantità d'interesse.
Amplificatore e Filtro = Sistema per il condizionamento e l'isolamento dei segnali di interesse.
Convertitore analogico digitale = Sistema per la conversione in digitale dei dati.
Registratore (opzionale) = Sistema per la memorizzazione del segnale.
Trasmettitore (opzionale) = Sistema per la trasmissione del segnale via radio.
Antenna (opzionale) = Utilizzata per la trasmissione dei dati via radio.
GPS = Sistema per il rilevamento dell'ora esatta (indispensabile) e, in aggiunta, della posizione della stazione (opzionale).
Stazione sismica
Una stazione sismica o stazione sismografica è l'insieme di diverse strumentazioni, adatte a misurare lo spostamento, la velocità o l'accelerazione del suolo. Una stazione sismica può essere analogica o digitale.
Normalmente una stazione sismografica è composta da più sensori disposti ortogonalmente in maniera da registrare i movimenti sui tre assi (verticale, nord-sud e est-ovest).
Considerazioni
Negli ultimi anni serpeggia una sorta di sfiducia nei confronti della scienza “ufficiale”, di chi ha il compito di tranquillizzare, allertare e informare la popolazione circa il rischio sismico.
Sicuramente ciò è stato causato dai fatti de L’Aquila, in cui a un tentativo di tranquillizzare la popolazione da parte dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) si contrapponeva un segnale di allarme da parte di un tecnico che aveva notato andamenti anomali nella quantità di gas radon. Il forte sisma che poi è avvenuto ha spostato l’ago della bilancia verso teorie alternative circa la possibilità di prevedere i sismi, e la diffidenza verso le autorità è aumenata.
Occorre anche aggiungere la presenza di internet, che ha come sempre un ruolo complesso: chiunque può pubblicare immense sciocchezze ed essere creduto. Lo vediamo tutti i giorni con fantomatici siti meteorologici fatti da persone che “ci provano”, per il gusto di farlo o di tirar su qualche moneta. La posta in gioco però nel caso di terremoti è molto alta, e non si può scherzare con queste cose.
Detto questo, se è vero che la scienza “ufficiale” non può e non deve lasciarsi andare a teorie che, anche se promettenti, non possono determinare l’evacuazione di milioni di persone per un sospetto, la sensazione è che si tenda a sottovalutare alcuni campi di ricerca molto promettenti circa la previsione dei terremoti. E che le risposte standard che vengono date non bastino a soddisfare le persone, non coincidano con la complessità del territorio e le sue manifestazioni. Insomma, da un lato bisognerebbe dare più spazio a idee alternative, dall’altro occorre considerare che non sappiamo davvero molto sui terremoti, su come e dove si generano. La scienza dovrebbe ammettere i suoi limiti. Negli ambienti scientifici pochi sono i geni e molti quelli che escludono a priori le idee diverse, ma sono le idee rivoluzionarie che fanno il progresso, non il seguire i solchi tracciati dal passato. Non si sarebbe in tal caso scienziati, ma esecutori stanchi di vecchi dogmi.
Uno dei casi più eclatanti di predizione di un sisma realmente avvenuto risale al 1975 con un terremoto verificatosi nel Nord della Cina. Vi furono segnali premonitori presi in considerazione dagli scienziati, che permisero l’evacuazione della popolazione 5 ore prima di un terremoto 7,6 M, che danneggiò o distrusse oltre il 90% delle abitazioni, ma con 3 milioni di abitanti solo poche centinaia ne furono vittime.
Le cose non sempre vanno così, ma devono incoraggiare la ricerca di una possibile soluzione a questo drammatico problema. Alcuni segni premonitori importanti possono riguardare la velocità di propagazione delle onde P (quelle più veloci, che causano variazioni nel volume della roccia che attraversano) che diminuisce del 10-15% fino al momento del sisma, e a partire da uno stato di dilatazione delle rocce sotto stress. La stessa dilatazione può causare sollevamenti del terreno, ma per individuare questi sollevamenti sono necessarie apparecchiature apposite in gran quantità (clinometri). Un altro precursore, ormai famoso, è il radon: si tratta di un gas radioattivo rilasciato dal terreno e sviluppatosi per decadimento dell’uranio nel suolo. L’aumento di concentrazione è associabile a un aumento della fissurazione del suolo e quindi al passaggio all’atmosfera. Anche l’elio potrebbe essere utile in questo senso.
Un altro metodo importante potrebbe essere quello statistico: nell’area in esame, per esempio, non si verificavano sismi dal 1574. Era forse un segnale di allarme, o altri segnali possono essere stati sottovalutati? Prima dell’evento era stata proposta una carta di allerta per alcune aree, ivi compresa quella dove si è verificato il terremoto, aree considerate a rischio di sisma, tralasciando altre notoriamente critiche quali Calabria, Sicilia e via dicendo, che secondo i ricercatori di Trieste non sono in questo momento a rischio.
Ma i metodi di possibile previsioni sono tantissimi: tramite i satelliti GPS e l’anomalia di trasporto del segnale si pensa di poter valutare la carica elettrica del terreno attraverso la ionizzazione della ionosfera. 30 minuti prima del terremoto del 2008 dell’8° grado Richter in Cina si sono manifestate anomalie nella ionosfera. Possono poi queste essere messe in relazione alle luci sismiche da molti segnalate?
Altri studi mettono in relazione la resisitività del terreno e i terremoti, con una diminuzione della resistenza elettrica nelle rocce prima di un sisma. Ciò necessita, ancora una volta, di strumentazioni ad hoc. Gli studi hanno dato ottimi risultati: 80% di riscontro in caso di terremoti superiori al 5° grado Richter fra 1 e 19 giorni dall’evento. Ancora una volta, però, si pone il problema dell’incertezza temporale.
Altri studi si concentrano sulla captazione di onde a frequenza molto bassa, tra 0,01 e 10 Hertz, onde per esempio intercettate in relazione al terremoto del Cile di M 8,3 del 1960.
Insomma, senza voler qui dilungarmi troppo, la ricerca può dare risposte che ancora non ha, e forse potremmo guardare con un occhio diverso a fenomeni che a molti sembrano poco inquadrati e studiati, come quello di sismi che stanno avendo luogo in aree obiettivamente inusuali almeno secondo la percezione della maggior parte della popolazione, se non anche dalle mappe di pericolosità sismica. In particolare poi, si vorrebbe capire se e come un terremoto possa in qualche modo favorire l’insorgenza di un secondo sisma in un’area vicina, come si può avere l’impressione che possa essere successo. D’altra parte in una roccia soggetta a stress può sembrare plausibile che un movimento sismico possa facilitare una rottura in determinati momenti di un ciclo sismico.
Fonte: considerazioni rielaborate da http://www.meteoweb.eu