Nello spazio è meglio non ammalarsi: un recente studio della NASA ha dimostrato che tra le stelle i farmaci perdono gran parte della loro efficacia.
Astronauti e turisti spaziali, nel preparare la valigia per il prossimo viaggio tra le stelle non dimenticatevi la maglia di lana: nel cosmo anche un banale raffreddore potrebbe diventare piuttosto antipatico visto che l'efficacia di aspirine e medicinali vari, lassù, sembra essere notevolmente ridotta. Lo affermano i ricercatori del Johnson Space Center in un articolo recentemente pubblicato sulla rivista scientifica AAPS.
Emicranie spaziali
Le medicine, sulla Terra, hanno una vita utile media di un paio di anni, poi cominciano più o meno rapidamente a perdere le funzionalità terapeutiche. Ma nello spazio l'esposizione prolungata alle basse dosi di radiazioni ionizzanti ne riduce notevolmente la vita utile: in altre parole, scadono prima.
Il problema è piuttosto serio, perchè la sempre maggior durata di viaggi e missioni spaziali rende indispensabile agli astronauti poter disporre di farmacie ben fornite. Gli scienziati americani hanno mandato a bordo della Stazione Spaziale Internazionale 35 campioni di medicine diverse e a intervalli variabili tra 15 giorni e 28 mesi ne hanno analizzato l'effettiva efficacia.
I risultati sono stati sconfortanti: quasi tutti i composti sono tornati dallo spazio parzialmente o completamente degradati e la maggior parte di loro non avrebbe superato i test della Food and Drug Administration per la commercializzazione negli USA.
Le adrenaline, la vitamina A e la vitamina C hanno invece tratto giovamento dalla permanenza nello spazio: l'ambiente ricco di CO2 le ha protette dalla ossidazione alla quale sono particolarmente sensibili.
«Lo studio faciliterà la ricerca e lo sviluppo di prodotti farmaceutici progettati per lo spazio e di tecnologie di packaging adatte all'ambiente extraterrestre» spiega Lakshmi Putcha, responsabile dello studio.