Tutte le tradizioni iniziatiche sono concordi nel descrivere lo stato originario dell’umanità come più prospero e felice, finchè un evento rovinoso, una Caduta, segnò una brusca rottura dell’equilibrio e fu all’origine della storia; da allora, l’umanità non sta progredendo affatto, ma, semmai, sta regredendo.
Le religioni recano un ricordo di questa sapienza antichissima nei miti delle origini. Nel cristianesimo, ad esempio, si parla di una umanità felice prima della disobbedienza a Dio, indi di una cacciata dal giardino dell’Eden e di un radicale mutamento, in negativo, della sorte dei nostri progenitori e di noi medesimi.
Ora, la religione della modernità, ovvero la Scienza razionalista, strumentale e calcolante, che - a giudizio dei suoi cantori - ci avrebbe assicurato il dominio assoluto sulla natura, predica esattamente il contrario. All’inizio vi era una creatura scimmiesca, selvaggia, incapace di pensare, di parlare, di operare in modo consapevole; poi, lentamente, essa sarebbe evoluta verso l’uomo come lo conosciamo oggi: lottando contro la natura e contro i propri simili, non riconoscendo nulla di superiore a sé, con lo sguardo rivolto verso sempre nuove mete, ognora più ambiziose e avveniristiche.
È chiaro che una delle due concezioni deve ritenersi completamente falsa, e giusta quell’altra: «tertium non datur» (nda. Una terza possibilità non esiste). Chi si inganna, dunque: la Tradizione, antica di millenni, o la nuova religione scientista, vecchia di pochi secoli? La differenza tra le due concezioni non riguarda soltanto i contenuti del sapere, ma anche le sue origini.
Per la Tradizione, il sapere originario non è di origine umana; la Tradizione stessa, in quanto tale, non è di origine umana. Gli uomini la conservano e la custodiscono, allo scopo di tramandarla di generazione in generazione: ma non rivolgendosi a tutti gli orecchi, bensì solamente a quelli capaci di accoglierla (non diciamo di comprenderla, perché l’uomo non può comprendere sino in fondo un sapere che gli è di tanto superiore). E si tratta di una trasmissione silenziosa, che non si serve della parola scritta o del libro stampato, perché la parola scritta si rivolge indifferentemente a qualsiasi lettore, mentre vi sono molti potenziali lettori i quali, non essendo preparati ad accogliere la Tradizione, è bene che ne rimangano all’oscuro: l’uso che farebbero di quel poco che riuscirebbero a capire, stravolgendone il senso, sarebbe sicuramente dannoso, per loro stessi e per altri.
Per la scienza moderna, materialista, quantitativa e meccanicista, il sapere è interamente frutto della ragione umana; nessuno lo ha donato all’uomo, egli se lo è conquistato con le proprie forze; e a tutti può essere trasmesso, perché non consiste che di formule da applicare in maniera impersonale, indipendentemente dall’uso che se ne fa e dalle intenzioni di chi le possiede.
Poiché viviamo immersi nel paradigma falsamente democratico basato sull’idea che tutti gli esseri umani sono uguali quanto a capacità, attitudini e senso morale, la scienza moderna appare tanto più veritiera, quanto più solletica la nostra vanità e il nostro orgoglio. L’idea che chiunque, venendo in possesso di determinate formule fisiche, possa padroneggiare l’energia nucleare (per fare un esempio) ci piace, perché lusinga il nostro desiderio di potenza a buon mercato, secondo la vecchia formula cara a tutti gli studenti pigri e furbastri: «massimo risultato con il minimo sforzo»; mentre, in effetti, dovrebbe atterrirci, perché le sue implicazioni sono devastanti.
Viceversa, il fatto che la Tradizione si sforzi di velare il proprio sapere, partendo dall’assunto che se un essere umano lo desidera con animo sincero e con pure intenzioni, finirà per trovare il Maestro che lo giudichi all’altezza di riceverla, suscita una istintiva diffidenza e una malcelata insofferenza da parte di molti, perché tutto ciò sa di «aristocratico». (Per inciso, è ben questa la ragione per cui, erroneamente, in certi ambienti politicizzati si parla della Tradizione come di un sapere «di destra», scomodando persino Platone, mentre la cultura democratica è considerata «di sinistra» o, comunque, progressista: mentre termini come «destra» e «sinistra» sono semplicemente assurdi, se riferiti al sapere iniziatico). Stando così le cose, si potrebbe dedurne che optare per la Tradizione oppure per il moderno sapere scientifico sia, tutto sommato, una questione di gusti personali, e che si possa scegliere l’una o l’altro con la stessa disinvoltura con cui, al supermercato, ci si decide per l’acquisto di una determinata marca di dentifricio o di pantofole, oppure per un’altra.
Ma è proprio vero? Non sarebbe, invece, il caso di domandarsi se non esistano degli indizi che possano suffragare la pretesa della Tradizione di porsi come il sapere originario dell’uomo, proveniente da livelli a lui superiori; e se, in particolare, non esistano elementi a sostegno della tesi centrale di ogni sapere iniziatico: che lo stadio attuale dell’umanità corrisponde non a un progresso, ma a un regresso sempre più marcato e carico di conseguenze distruttive?
Vediamo. Vi è un ampio settore del conoscere che la scienza moderna, quantitativa e materialista, guarda con sommo disdegno, o che pretende di esaminare a partire dal proprio pregiudizio razionalista: quello dei fenomeni supernaturali. Ancora oggi, lo studioso accademico che vi si dedichi apertamente (anche se molti, al soldo di potenti istituzioni statali e militari, lo fanno a tempo pieno, ma in segreto) rischia di attirare su di sé il discredito dei colleghi e del pubblico, nonché di vedersi stroncata la carriera. Obbligatorio, poi, parlare di tali fenomeni, alla stampa o in televisione, con l’atteggiamento distratto e di boriosa sufficienza, proprio di chi non si lascia abbindolare da alcun genere di trucco e dalle vecchie superstizioni, retaggio di un’epoca arretrata, in cui gli esseri umani credevano ancora all’esistenza di forze invisibili.
Notiamo, tra parentesi, che questo atteggiamento, oltre ad essere intrinsecamente antiscientifico (nel senso di una scienza bene intesa), perché rifiuta di misurarsi con i fatti, è anche totalmente incongruo, perché la stessa scienza contemporanea, specialmente la fisica delle particelle sub-atomiche, ha oltrepassato da un pezzo le rozze premesse materialistiche del passato, ed è più che disposta a prendere in considerazione, sia pure come ipotesi di lavoro, l’esistenza di forze non solo invisibili, ma anche immateriali, capaci di agire sulla materia stessa: telepatia, chiaroveggenza, retrocognizione, psicocinesi, apporto ed asporto, solo per citare alcuni fenomeni supernormali, in effetti costituiscono, per il ricercatore libero da pregiudizi materialisti e da grossolane forme di presunzione, altrettante finestre che permettono di gettare uno sguardo su una realtà «altra», ove le pretese leggi della scienza galileiana e newtoniana sono sospese e annullate e che, pertanto, esige di essere interpretata alla luce di un nuovo modo di pensare e di una nuova e più ampia concezione della realtà.
La scienza materialista ci dice che, per vedere, occorre la facoltà della vista, la quale si serve degli occhi: niente occhi, niente, vista, niente percezione di oggetti. Ma ecco qui una ragazza che, distesa su un letto con lo stomaco scoperto, e con un libro posato su di esso, legge le parole, le frasi e le pagine, come se le avesse davanti agli occhi. Ancora.
La scienza materialista ci dice che un essere umano non può sopravvivere più di qualche giorno senza bere e più di qualche settimana, al massimo, senza assumere cibo solido. Ma ecco qui una donna che, a partire dalla sua giovinezza, non ha più mangiato né bevuto niente di niente, se si esclude la particola della comunione; eppure è vissuta molti anni, durante i quali, pur paralizzata e costretta a stare in ambienti non illuminati, era in grado di ascoltare, consolare e consigliare migliaia e migliaia di visitatori. Non basta.
La scienza materialista ci assicura che lo spirito non può agire direttamente sulla materia, ma solo indirettamente. Eppure, ecco uno stregone che lancia un incantesimo di morte contro una persona ignara di ciò (e, quindi, non suscettibile di autosuggestione); ed ecco che la vittima designata si ammala e muore rapidamente, senza che nulla, nello stato di salute del suo organismo, sembri giustificare un fatto del genere.
Dobbiamo continuare? Quelli che abbiamo citato sono fatti, fatti attestati da testimoni degni di fede; fatti, talvolta, osservati da molte persone, medici compresi; fatti che, in certi casi, sono stati perfino riprodotti e osservati in laboratorio, vale a dire in condizioni rigorosamente controllate dagli scienziati.
Ebbene, ci sembra che fatti del genere - di cui esiste, per chi ha voglia vedere, una ricchissima e inoppugnabile documentazione -, possano, se non altro, suggerire una ipotesi: che la mente sia capace di agire indipendentemente dal corpo; che il cervello ne sia la sede temporanea, ma che non sia tutt’uno con essa; che la mente individuale sia in comunicazione con tutte le altre menti, passate, presenti e future; che, in un tempo passato, tutti gli esseri umani fossero in grado di accedere ai suoi straordinari poteri; che gli uomini abbiano incominciato a perdere tale facoltà proprio a partire dall’epoca in cui essi restrinsero la mente a quella piccola porzione di essa che corrisponde al Logos strumentale e calcolante, alla Ragione dei moderni.
Questa, ci sembra, dovrebbe costituire per lo meno una seria ipotesi di lavoro per lo studioso in buona fede, non ottenebrato da pregiudizi e disposto a misurarsi, da vero scienziato, con l’ombra del mistero, e non soltanto con una sua caricatura di comodo.
Tale punto di vista è stato ben sintetizzato da un eminente studioso dell'occulto, Leo Talamonti, in un suo libro di quasi trentacinque anni fa, e dal quale riportiamo il seguente passaggio («La mente senza frontiere», Milano, Sugarco, 1975, pp. 131-32):
«Si è già detto che a proposito di telepatia e fenomeni affini vi è chi parla di "regressione atavica", presupponendo implicitamente che la razza umana sia progredita, e che nel progredire abbia lasciato cadere funzioni e capacità che più non le occorrevano. Un primo aspetto errato di tale concetto è stato già da noi indicato quando abbiamo sostenuto che la telepatia non è un fenomeno a sé stante; essa fa parte di un complesso di facoltà e doti che sono e saranno sempre utili alla razza umana perché si evolveranno con essa specializzandosi a seconda delle sue future occorrenze; è vero dunque esattamente il contrario di quanto si afferma da parte di certi studiosi tuttora legati a un pensiero ottocentesco di stampo grossolanamente darwiniano. Ora non resta che completare il quadro e specificare per quali ragioni il presunto progresso della raza sia stato in realtà un regresso. A nostro avviso, le facoltà telepatiche e affini che tuttora si manifestano in seno all'umanità non sono che il residuo DI PROFONDE CORRENTI DI FORZA PSICHICA COESIVA che in una situazione primordiale, ben più felice di quella attuale, bastava a mantenere armonici legami fra gli uomini, fra questi e le forze cosmiche. Forse la telepatia - che abbiamo visto manifestarsi sporadicamente nel suo ruolo di GRAVITAZIONE PSICHICA INTER-INDIVIDUALE - era allora una forza operante ed universale che cementava gli uomini fra loro. Si provi a immaginare il ruolo della messa in comune di sentimenti e pensieri in una collettività, come rarissimamente avviene anche oggi, ma in forma assai tenue: nessuno può far soffrire deliberatamente un altro, se avverte le sofferenze di quello come proprie; nessuno è poco intelligente, quando ha a propria disposizione le risorse intellettive dell'intero gruppo. È il segreto di una società perfettamente integrata. Per l'uomo di oggi è una utopia assurda; per quello di una volta, forse, fu qualcosa di più di una bella fantasia. Tutte le grandi tradizioni parlano di una MISTERIOSA CADUTA: di un'età del ferro che succedete a quella mitica dell'oro; di un peccato d'origine che valse a scatenare gli appetiti e gli sfoghi di un EGO separatista, aggressivo, sopraffattore. Allora i finalismi tipici del ristretto campo di coscienza che fa capo all'individuo come tale prevalsero su quelli ben più fondamentali, e ad ampio respiro, della specie, i quali prima si esprimevano nelle tendenze unificanti della psiche profonda; di qui la crescente disarmonia; di qui il conflitto sempre più aspro fra uomo e uomo, fra l'uomo e l'ambiente che lo ospita. Trionfo della "ragione" - di una ragione ristretta e priva di luce interiore - e contemporanea perdita dell'anima. Da allora l'uomo fu condannato a essere solo, sempre più solo, con qualche rimedio parziale e non sempre operante a sua disposizione. Ma in profondità i legami sussistono, ed infatti qualche volta, in soggetti rari, emergono a piena luce, come dimostrano i molti episodi che siamo andati esaminando; nella maggior parte dei casi essi sono invece soffocati dalla voce imperiosa dell'EGO. Permane ancora la nostalgia di un'integrazione che affranchi dal peso della solitudine, ma quando la spinta integrativa erompe, travolgendo le innaturali barriere dell'io, non di rado si manifesta nel senso sbagliato: come avviene nelle folle scatenate, quando molti psichismi individuali si associano di colpo sotto l'ondata di una emozione comune, formando una entità collettiva che risucchia le single anime per fonderle in una sola, che impone all'intero gruppo la propria volontà…»
La teoria esposta da Talamonti, semplice ed elegante al tempo stesso, è in grado di rendere ragione di una quantità di fenomeni supernormali altrimenti inesplicabili: ad esempio, come due persone legate da forti vincoli d'affetto possano comunicare a distanza, senza servirsi di alcun mezzo materiale, e perfino di far sapere all'altra la morte di una di esse.
Non si dice, del resto, che gli aborigeni australiani - che sono considerati, non a caso, il popolo più antico del mondo, essendo stanziato in quel continente da almeno 40.000 anni - fossero in grado di comunicare fra loro telepaticamente, a distanze notevolissime, per esempio convergendo ai raduni tribali dai luoghi più remoti, oppure recandosi ai funerali di un parente deceduto durante l'assenza di alcuni elementi del gruppo?
Inoltre, questa teoria è in grado di riportare la mente individuale in un rapporto funzionale e armonioso con tutte le altre menti, e non solo quelle umane (si pensi al particolarissimo rapporto che doveva stabilirsi fra la psiche di un antico cacciatore e quella della sua preda), inserendo il concetto junghiano dell'inconscio collettivo in una prospettiva molto più ampia e profonda, sia dal punto di vista strettamente antropologico, sia da un punto di vista filosofico generale.
La Caduta, pertanto, ha segnato un cammino inverso rispetto al trionfo del Logos strumentale e calcolante: quello della perdita della parte più profonda dell'uomo e, al tempo stesso, della perdita dei vincoli ancestrali che legavano tutti gli uomini fra loro e con l'ambiente in cui vivevano, animali e piante compresi.
L'inconscio individuale, su cui Freud ha basato tutta la sua pessimistica concezione dell'uomo, altro non è che la marcescenza dell'ego, dopo che il prevaricare della Ragione ne ha schiantato i profondi legami con le altre menti e con tutti gli altri viventi. Ma l'ego, a sua volta, non è che la parte tirannica e aggressiva dell'io: divenuta tanto più tirannica e tanto più aggressiva, quanto più si sono allentati e dissolti i legami psichici profondi dell'uomo con i propri simili e dell'uomo con il resto del creato.
Una reintegrazione dell'uomo nella sua piena umanità, pertanto, non potrà aver luogo che quando egli si renderà conto di aver sacrificato, in nome di forze tiranniche che non lo fanno vivere in armonia con se stesso e con il mondo, la parte migliore di se stesso: la più profonda, la più antica e la più vera.