Secondo un team di ricercatori internazionali le temperature medie in Europa sono sempre più calde. Lo “spostamento” verso nord negli ultimi 20 anni è stato di 250 km, provocando disequilibri ecologici.

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Sono trascorsi ben 15 anni dal famoso Protocollo di Kyoto, un trattato internazionale a lungo termine -non ratificato dagli USA- per tenere sotto controllo il surriscaldamento climatico (global warming) che ancora sembra non sortire progressi sensibili. Per questa ragione l’Unione Europea vi ha associato nel 2008 il “Pacchetto Clima 20-20-20”, una serie di misure che hanno come obiettivo -entro il 2020- la riduzione del 20% delle emissioni di gas a effetto serra, il risparmio energetico del 20% e l’aumento del 20% del consumo di fonti rinnovabili.

Mancano solo 8 anni per raggiungere i risultati prefissati ma essi sembrano piuttosto lontani da cogliere; qualche passo positivo sino ad oggi si è fatto, ma la recente crisi economica mondiale ha spostato sguardi ed interessi altrove, ponendo i problemi climatici quasi in secondo piano.

Gli studiosi, tuttavia, continuano a guardare con preoccupazione i fenomeni che il riscaldamento globale sta trascinando con sé, in primis quelli relativi ai disequilibri ecologici e alla grande minaccia alla biodiversità. Da anni si sente discutere di “tropicalizzazione” del Mar Mediterraneo, con avvistamenti sempre più frequenti di specie provenienti dal Mar Rosso o dalle aree più calde dell’Oceano Atlantico. Per quanto affascinanti esse hanno un grandissimo impatto sulle specie autoctone, che rischiano di soccombere alla maggior intraprendenza delle nuove arrivate. Il problema è serio e non riguarda soltanto il mare.

Secondo uno studio condotto da esperti ecologisti internazionali, coordinati dal professor Lindström Åke del Dipartimento di Ecologia Animale dell’Università svedese di Lund, in Europa le temperature medie estive -più calde- si sono spostate a nord di 250 km, ma uccelli e farfalle non riescono ad adattarsi al cambiamento: “Queste specie rispondono ai cambiamenti climatici, ma non abbastanza velocemente per tenere il passo con un clima sempre più caldo. Non sappiamo quali effetti ecologici a lungo termine comporteranno tali disequilibri”, spiega il docente.

In base alla ricerca -pubblicata su Nature Climate Change- le farfalle si sono spostate verso nord di 114 km, mentre gli uccelli soltanto di 37: come mai questa differenza? Secondo i ricercatori essa dipende dal ciclo vitale più breve dei lepidotteri, con le nuove generazioni in grado di adattarsi più rapidamente ai cambiamenti climatici, mentre gli uccelli sono anche condizionati da fenomeni migratori più complessi, che li spingono a tornare nel medesimo posto in cui si erano nutriti l’anno precedente. Ciò sta avendo due conseguenze piuttosto serie. Se gli uccelli non riescono a mantenere il passo con gli insetti di cui si cibano, in futuro potrebbero avere grandi difficoltà a trovare nutrimento, con conseguenze disastrose sulle varie popolazioni interessate.

In secondo luogo è emerso che gli uccelli che si spostano dalle latitudini più basse causano il declino di quelli già stabiliti a nord, andando a ricoprire le medesime nicchie ecologiche. Il problema non riguarda solo gli uccelli europei ma anche quelli tropicali, secondo un’altra ricerca condotta da scienziati della Duke University e pubblicata recentemente sulla autorevole rivista PLoS ONE.

Diverse specie del Sud America invece di spostarsi verso nord -le temperature tropicali non cambiano molto con la latitudine- hanno aumentato la quota dal livello del mare, spostandosi in montagna. Ciò sta causando la sovrapposizione di altre nicchie ecologiche, generando il medesimo discorso valido per gli uccelli europei. Da qualunque lato lo si guardi il problema del riscaldamento globale sta seriamente minacciando la biodiversità e non solo.

Secondo gli studiosi gli esiti di questi disequilibri ecologici sono ignoti ma le prospettive piuttosto inquietanti, dunque, per quanto focalizzate sui problemi della crisi economica mondiale, le istituzioni non dovrebbero mai abbassare la guardia innanzi ai cambiamenti ambientali provocati dall’antropizzazione.

La natura ci parla col suo linguaggio e, se perseveriamo su questa strada, le future generazioni pagheranno a caro prezzo le nostre scelte, così come i giovani di oggi pagano le scelte economico-sociali delle generazioni passate.

Crediti articolo: articolotre.com


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