Kevin Schawinsky, studente all'università di Oxford, per diventare dottore di ricerca doveva fare un lavoro noioso: classificare galassie secondo la loro forma a spirale, ellittica o irregolare.

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Eravamo nel 2007, e gli astronomi erano ancora convinti che le galassie ellittiche fossero le più vecchie e le spirali le più giovani.Le galassie non hanno zampe di gallina né cellulite. La loro età si deduce dal colore. Le stelle più vecchie tendono al rosso, quelle giovani all'azzurro. Kewin dunque si aspettava si trovare molte galassie ellittiche rossastre.

Ma la sua impressione non coincideva con l'attesa. Spesso il colore delle galassie ellittiche aveva una notevole componente azzurra, come se contenessero numerose stelle giovani.

Per risolvere la questione Kevin Schawinsky aveva una sola possibilità: esaminare una statistica ampia, diciamo le cinquantamila galassie di un catalogo noto come "Sloan Digital Sky Survey, e contare quelle che, nonostante la forma ellittica, brillavano di luce azzurra.

Il ragazzo si procurò un programma capace di identificare sulle immagini digitali le galassie ellittiche e si mise all'opera per classificarle in funzione del colore. Lavorando 12 ore al giorno, in una settimana passò al vaglio le cinquantamila galassie. Alla media di una immagine ogni sei secondi... La sua fatica fu premiata. In effetti in molte galassie ellittiche c'erano stelle azzurre. Conclusione, nelle galassie ellittiche continuano a formarsi nuove stelle, un po' come nelle galassie a spirale.

Ne parlò con un compagno di studi, Chris Lintott. Non in un'aula di Oxford ma in un pub chiamato Royal Oak, davanti a una birra. Convennero che per accertare meglio la faccenda sarebbe stato necessario ampliare lo studio fino a 930 mila galassie. Bella noia!

A questo punto Chris Lintott ebbe un'idea: costruire e mettere online un sito per invitare i dilettanti di astronomia a dar loro una mano. Nacque così "Galaxy Zoo". La BBC ne diede notizia su Radio 4. Alla fine del primo giorno affluivano al sito 70 mila classificazioni all'ora. Poi il ritmo rallentò, ma in pochi mesi l'impresa era compiuta. Avevano collaborato 200 mila volontari.

C'è un seguito della storia. A due settimane dall'apertura del sito, il 28 luglio 2007, un astrofilo segnalò come cosa strana una galassia verdognola. Un'altra saltò fuori l'11 agosto. Una terza il giorno dopo. Dato che apparivano come puntini verdastri, i frequentatori di "Galaxy Zoo" incominciarono a parlare di una "zuppa di piselli". Si è poi scoperto che era una nuova classe di piccole galassie che hanno un tasso di formazione di nuove stelle dieci volte superiore al normale, e sono circondate da un alone di ossigeno ionizzato. Infatti l'ossigeno ionizzato emette radiazione verde.

La storia di Galaxy Zoo potrebbe continuare. Lo stesso metodo di ricerca collettiva è stato applicato alle galassie che stanno scontrandosi, alla ricerca di supernove (foto) e alle lenti gravitazionali. Ne sono venuti fuori decine di lavori scientifici pubblicati su riviste di prestigio. La tecnica si è poi estesa a ricerche sui crateri lunari e sulle tempeste solari. In fondo Lintott non aveva inventato niente. Il programma SETI(at)home cerca segnali artificiali nella selva di dati raccolti dai radiotelescopi distribuendoli a milioni di computer sparsi nel mondo che li analizzano automaticamente quando non vengono utilizzati. Ora la cosa si ripete con ricerche sulle proteine per capire come le loro lunghe molecole sono arrotolate e in altri tipi di studio.

Ne parla Michael Nielsen, un pioniere della computazione quantistica, nel libro "Le nuove vie della scoperta scientifica" (Einaudi). La tesi è semplice: la rete, mettendo in contatto tanti cervelli a distanza, sta rivoluzionando la ricerca. Non sempre c'è bisogno di geni. Spesso bastano tante intelligenze normali che lavorino insieme.

In fondo, Galileo fu un genio non tanto, o non solo, per le sue scoperte, ma soprattutto perché fondò il metodo scientifico. Che poi tanti altre persone, non necessariamente geniali come lui, hanno applicato con profitto.


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