«FINTANTO che l’universo ha un inizio, potremmo supporre che abbia avuto un creatore. Ma se l’universo è realmente indipendente, senza confine o limite, non ci sarebbe né inizio né fine, semplicemente sarebbe. Che posto ci sarebbe, allora, per un creatore?» A porsi questa domanda fondamentale è stato Stephen Hawking,

Astrofisico tra i maggiori in assoluto in recente libro («Il grande progetto»), lo stesso Hawking ha offerto una risposta che vuole, in qualche modo, essere definitiva: «Poiché esiste una legge come la gravità, l’universo può essersi e si è creato da solo, dal niente. La creazione spontanea è la ragione per cui c’è qualcosa invece del nulla, il motivo per cui esiste l’universo, per cui esistiamo noi». 

La Genesi (1,2), dal canto suo, resta un po’ sul vago e si limita a ricordarci che «le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque». E, dunque, due posizioni inconciliabili, che hanno alle spalle una storia lunghissima, popolata dalle ombre di grandi filosofi, teologi e scienziati, oltre allo stuolo infinito di credenti che si contrappongono agli agnostici e agli atei.

Ecco, subito, George Ellis, docente di matematica applicata alla University of Cape Town, pronto a dire che «se uno ha fede, continuerà a credere che sia stato Dio a creare la Terra, l’Universo o perlomeno ad accendere la luce, a innescare il meccanismo che ha messo tutto in moto, prima del Big Bang o del presunto nulla che lo ha preceduto», mentre coloro che si affidano solamente alla scienza parlano di vittoria della ragione.

Ma, con il senno di poi e gli occhiali del nostro tempo, sempre in bilico tra dubbi e certezze, queste posizioni sono davvero opposte e inconciliabili? Si riduce davvero tutto all’esistenza o alla non esistenza di Dio, a un principio (e una fine) oppure a una sorta di autogenerazione continua?


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