Le conoscenze legate ai metalli nell'antichità, erano prevalentemente collegate a pratiche estrattive  metallurgiche.

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I primi approcci estrattivi li possiamo nel Vicino Oriente e in Armenia dal VI millennio a.C. Successivamente nuove competenze lavorative entrarono in uso fino alla fine del II millennio.

Risale a quest'epoca infatti, una concezione nuova dei metalli, creature viventi che crescono nelle viscere della Terra secondo un ritmo naturale, un ritmo che l’uomo può accelerare mediante processi di trasformazione, grazie al fuoco elemento magico e potente,  fu utilizzato nella disgregazione e nella purificazione delle sostanze metalliche.

Aristotele e le conoscenze metallurgiche nel mondo greco250px-Aristotle Altemps_Inv8575

Nell' Antica Grecia Aristotele (384-322 a.C.) fu il primo, nella tradizione occidentale, a parlare dei minerali e dulle loro proprietà, così come a darne una spiegazione metafisica. Il filosofo, nella sua Meteorologia, teorizzò che tutte le sostanze conosciute fossero composte dai quattro elementi acqua, aria, terra e fuoco, con le proprietà della secchezza, umidità, calore, e freddo.
La teoria aristotelica dell'emanazione ed esalazione metafisica (anathumiaseis) includeva le prime speculazioni sulle scienze della terra, integrando la mineralogia. Secondo questa teoria, mentre si supponeva che i metalli congelassero per la perdita di umidità, l'esalazione secca di gas (pneumatodestera) era la causa materiale efficiente dei minerali trovati nel suolo terrestre. Il filosofo postulò queste idee usando l'esempio dell'umidità sulla superficie terrestre (un vapore umido "potenzialmente come acqua"), mentre gli altri erano espulsi dalla Terra stessa, facendo capo agli attributi di caldo, secco, fumoso, ed altamente combustibile ("potenzialmente come fuoco").

Plinio-il-VecchioPlinio il vecchio
L'antica terminologia mineralogica greca si è tramandata per secoli, con un'ampia diffusione in epoca moderna. Per esempio, la parola greca ῾ἀσβεστος (asbestos col significato di «inestinguibile, inappagabile»), è utilizzata per indicare l'amianto a causa dell'aspetto insolito di questo materiale naturale dovuto alla struttura fibrosa dei minerali che lo compongono (il crisotilo, in particolare, che è una delle modificazioni polimorfe del serpentino). Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) scrisse dell'asbestos, delle sue qualità, e delle sue origini, con la credenza ellenistica che fosse un tipo di vegetale. Plinio il Vecchio lo elencò come un vegetale comune in India, mentre lo storico Yu Huan (239-265 d.C.) in Cina elencò questo 'straccio ignifugo' come un prodotto dell'antica Roma o Arabia (cinese: Daqin). Benché la documentazione di questi minerali nei tempi antichi non raggiunga quella della moderna classificazione scientifica, esistevano nondimeno ampi scritti di mineralogia. Per esempio, Plinio dedicò 5 interi volumi della sua opera Naturalis Historia (77 d.C.) alla classificazione di "terre, metalli, pietre, e gemme". Comunque, prima delle opere che decretarono la definitiva fondazione della mineralogia nel XVI secolo, gli antichi riconobbero non meno di 350 minerali da elencare e descrivere.

Età ellenisticacosmologia 01

Nell'età ellenistica troviamo la prima dottrina sistematica dei metalli basata sull'associazione coi pianeti (Sole-oro, Luna-argento, Venere-rame, Marte-ferro, Saturno-piombo) e su un criterio di distinzione a partire da caratteristiche quali il colore, il peso ecc. cui si riferiscono
gli alchimisti quando parlano di trasformare i metalli in oro. Sarebbe un anacronismo, infatti, pensare che gli alchimisti considerassero i metalli nei termini in cui li ha definiti "l'ultima nata delle scienze moderne", la chimica.Il legame fra Giove e Mercurio da un lato, stagno, bronzo, elettro, argento vivo dall'altro rimase incerto più a lungo, finché si stabilizzò verso il VII sec. d.C. (Giove- stagno, Mercurio-argento vivo o, appunto, mercurio). L'elemento stabile in queste associazioni è comunque sempre il numero, sette, di cui nelle liste pianeti-metalli emerge il carattere ordinatore. Poiché alla base dell'alchimia c'è l'idea che si possano trasformare i metalli in laboratorio per portare alla piena perfezione dell'oro quelli "imperfetti" o "immaturi", cioè corruttibili, non si può parlare di alchimia finché non esiste una concezione abbastanza chiara e definita della serie dei metalli. Di fatto è proprio in testi alchemici che troviamo le prime attestazioni della corrispondenza fra metalli e pianeti. L'epoca cui risalgono questi primi tentativi disistemazione è la stessa delle prime testimonianze propriamente alchemiche in età ellenistica: i secoli II-III d.C. L'origine storica dell'alchimia va infatti distinta dal mito per cui essa avrebbe avuto origine nella metallurgia praticata a fini cultuali nei templi dell'antico Egitto, e che ne attribuisce l'invenzione ad Ermete.

albero2Nascita della metallurgia alchemica
Le testimonianze più antiche di metallurgia alchemica sono due ricettari (i papiri di Leida e di Stoccolma) di procedimento operativi, ripartiti in quattro sezioni: la produzione dell'oro, dell'argento, di pietre preziose, di coloranti. In essi è presente solo in maniera frammentaria la cornice interpretativa che compare nei più antichi trattati propriamente alchemici, Physikà kaì mystikà (secolo d.C.) attribuito a Democrito e Operazioni manuali (III secolo d.C.) di Zo di Panopoli, i quali collocano le operazioni metallurgiche in un contesto filosofico impregnato dall'idea che il vero sapere si ottenga attraverso la rivelazione dei 'segreti' della natura e che sia orientato ad un fine salvifico in cui la perfezione dei metalli si riflette - dapprima forse solo metaforicamen Nel trattato dello pseudo-Democrito si narra la scoperta dei segreti dell'alchimia (ricette come quelle dei papiri) attraverso la discesa nei sotterranei di un tempio e il ritrovamento di scritti antichissimi che rivelano le operazioni occulte della natura. mostrare il richiamo ai segreti della natura sia la possibilità di coinvolgere nello stesso fine salvifico l'alchimista e la materia su cui opera rinviano a motivi presenti nella tradizione filosofica e tecnico-pratica che circolava, col nome di Ermete, a partire dal I sec.a.C.: una produzione testuale in cui si riteneva fosse conservata la sapienza posseduta dai sacerdoti dell'antico Egitto, che insegnava una "via" filosofica verso l'unione col principio divino. Ad essa fungevano da propedeutica e supporto l'astrologia, la magia, la medicina magica insegnate negli scritti "pratico-tecnici".
Per quanto il corpus ermetico ellenistico non comprenda scritti alchemici, Zosimo cita più volte Ermete, mostrando così che già agli albori dell'alchimia si percepiva l'affinità fra due ricerche orientate entrambe dall'idea di perfezione:spirituale per l'ermetismo, materiale per l'alchimia. Non è chiaro se fosse un seguace di Ermete che inserì nel contesto dell'ermetismo tecnico la metallurgia dei papiri, o un alchimista che trovò nella filosofia ermetica elementi di convalida della propria attività pratica ed il legame di essa con una religiosità gnostica. Di fatto utilizzò immagini di alta pregnanza simbolica e sacrale per descrivere la trasmutazione, radicandosi nella concezione ermetica della materia caratterizzata dall'idea dell'unità animata del tutto. Ad Ermete viene attribuita l'affermazione che la totalità delle cose, benché molteplice, è detta Uno e che i metalli sono animati.

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L'attribuzione ad Ermete dell'invenzione dell'alchimia è dunque un chiaro segno della matrice non aristotelica della dottrina trasmutatoria, nonostante l'idea del metallo perfetto, concepita come produzione artificiale dell'entelechia dei corpi metallici, possa far considerare l'alchimia anche un po' "figlia delle filosofia greca". Nei secoli successivi la trasmutazione poté così essere compresa sia in termini filosofici, considerando la serie dei metalli come una sola specie i cui individui si collocano su gradi diversi di realizzazione della forma specifica, sia in termini animistici, laddove i metalli sono visti come stadi embrionali dell'oro, il cui tempo del parto può essere accelerato dall'opera dell'alchimista.

Maria l’Ebrea e i primi laboratori

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I primi apparecchi per distillare e i primi laboratori. Maria l'Ebrea Quest'ultima concezione è quella più vicina alla visione ermetica,caratterizzata da una logica del vivente forse d'origine stoica, cui rinvia un altro detto "ermetico", in realtà risalente a Maria l'Ebrea (III secolo d.C.): "Se non rendi incorporei i corpi e non rendi corporee le cose prive di corpo, il risultato atteso non ci sarà". In esso è implicita una continuità fra la dimensione corporea e quella incorporea o "spirituale", che operativamente si coglie nel processo della distillazione. E infatti il principale contributo dato alla pratica di laboratorio da Maria consiste nei primi apparecchi distillatori: la kerotàkis (un alambicco in tre parti), il trìbikos, che dal recipiente in basso, a contatto col fuoco, porta il vapore sublimato in tre tubi infissi nel recettorio posto all'estremità superiore e lo raccoglie in tre diversi vasi di vetro, il bagno-Maria, ovvero il riscaldamento per contatto indiretto col fuoco mediante un recipiente con acqua o sabbia. Ma risale alla stessa autrice anche il detto che definisce la distillazione in maniera così criptica da aver assunto arcane valenze simboliche: "diventa due, due diventa tre, e mediante il terzo e il quarto compie l'unità: così due sono uno". Fu però Zosimo, discepolo di Maria, a esplicitare le valenze religioso-s l'alchimia un'arte sacra mediante la quale si produce l'acqua divina, o acqua di zolfo. Le operazioni si compiono su "un altare a forma di ampolla", descritto in "sogni" allegorici in cui vengono mostrate le fasi successive dell'opera, da separazione al ricongiungimento degli "spiriti" ai "corpi". Leggendo descrizioni del genere dall'interno della nostra cultura, fortemente dualista nel linguaggio e nell'immaginario, tendiamo ad attribuire loro un significato meramente simbolico. Ma Zosimo stava parlando di operazioni di laboratorio ben precise attraverso cui si ottengono sia l'"acqua divina" sia la polvere finissima detta xerìon (da cui l'arabo al-iksir e il latino elixir) che, "proiettata" sui corpi metallici, conferisce loro la perfezione dell'oro. Tuttavia queste operazioni sono anche veicolo di un perfezionamento spirituale, che fa sì che gli alchimisti possano essere definiti "la razza dei filosofi che si pone al di sopra del Fato": l'irriducibilità dell'arte trasmutatoria a nient'altro che pratica o simbolo è già tutta contenuta nei testi delle origini.


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